Le prime notizie che riguardano la chiesa di Santa Maria Rossa risalgono al 1262, anno in cui una parte del castello di caccia, primo insediamento costruito dai Cavalieri di Malta, fu ceduto ai monaci basiliani del Priorato di Roma; questi ne adattarono una parte a chiesa, l’ambiente che oggi è utilizzato come magazzino, in cui si trova ancora l’antica fonte battesimale. Fino al 1367 la chiesa si chiamava solo “Santa Maria”, mentre il termine “Rossa” fu introdotto a seguito di una sanguinosa battaglia avvenuta nelle campagne circostanti. Nell’anno 1500 la chiesa di Santa Maria Rossa viene iscritta nel catasto particolare dei Beni Ecclesiastici; le uniche testimonianze artistiche che potrebbero risalire al XVI secolo sono le tracce di pitture murali che sono emerse nei saggi di scopritura eseguiti sulle pareti del piccolo magazzino, impianto originale della chiesa.Nel 1854 fu dato inizio alla nuova fabbrica poiché la chiesa risultava angusta e inadeguata; i lavori, diretti dall’architetto perugino N. Biscarini, si conclusero nel 1855 e l’anno dopo il cardinal Pecci, futuro papa Leone XIII, la inaugurò nella “nuova veste”. Santa Maria Rossa fa parte infatti delle 54 chiese dette “leonine”, edifici di culto realizzati o ristrutturati nel territorio della diocesi, per volere dell’allora Arcivescovo di Perugia Vincenzo Gioacchino Pecci. L’impianto decorativo delle volte risale al 1900, data dipinta dal pittore stesso all’interno di un motivo decorativo e ritrovata durante il recente restauro. La certezza che l’autore del ciclo pittorico sia Coriolano Mazzerioli è data da un documento di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, in cui Santa Maria Rossa è inserita all’interno di un elenco di quarantotto chiese decorate dal pittore perugino e dalla bottega paterna.
Coriolano Mazzerioli, nato a Perugia nel 1849, proveniva da una famiglia di pittori-decoratori, apprese i rudimenti del mestiere dal padre Gaspare e, insieme al fratello Osvaldo, fu uno dei più attivi ornatisti perugini di fine secolo. Fu allievo del pittore M. Piervittori, accademico perugino, con il quale collaborò al rifacimento delle pitture del teatro Morlacchi. La decorazione si sviluppa sopra un semplice cornicione, interessando le volte della navata, del catino absidale e delle due cappelle laterali; in realtà è presente anche su tutta la superficie delle pareti, occultata da una tinteggiatura risalente agli anni ’70, come documentano i saggi stratigrafici eseguiti durante il restauro.
Il centro delle volte, le lunette e le unghiature dell’abside sono ornate da clipei figurati, con Angeli, Santi, il Padre eterno, il Cristo Redentore, l’Annunciazione, mentre le cappelle recano scene raffiguranti la Sacra famiglia e lo Sposalizio della Vergine; tutto intorno preziosismi decorativi, dai cangiantismi dei finti tessuti ai molteplici motivi seriali che segnano ovunque l’andamento dell’architettura e incorniciano le figurazioni.
La pittura è condotta a tempera, con campiture in tinte pastello e una gamma di colori, una decina in tutto, che si ripete e si alterna a comporre gli innumerevoli motivi. L’intero ciclo è realizzato su uno strato di tempera bianca, steso direttamente sulle tinte a calce ottocentesche.